Si fa presto a dire Daiquiri.
Non si puo’ scherzare su cose cosi’ importanti. Questo tour sta diventando molto pericoloso, nascono passioni e desideri di approfondimento che fanno dormire sempre di meno.
I complimenti per Francesco Conte e il suo collaboratore Salvatore sono ormai cosa consueta, ma davvero le storie, gli aneddoti e la passione che riescono a trasmettere e’ qualcosa di inusuale.
Questa volta si parlava di cocktail cubani, quindi Cuba, che per i fumatori di avana rappresenta sempre la Terra Promessa.
In parte sapevo cosa mi aspettava, Daiquiri, Mojito, Cuba libre, peccato che come accade sempre ad un fumatore ignorante come me in merito ai sigari, mi sono scoperto anche bevitore ignorante, ma fortunatamente come me tanti altri, avendo provato dei cocktail che come nome possono essere paragonati a quelli presenti in tanti bar, ma solo come nome.
Siamo partiti cosi:
e direi che e’ stato un inizio molto emozionante.
Primo cocktail Daiquiri, semplice nei sui componenti, Rum bianco, Succo di lime e succo di zucchero di canna. Sembra banale, ma l’equilibrio e’ cio’ che davvero riesce a fare la differenza, questo il verbo di Francesco, ed e’ questo che ripetera’ fino alla fine, l’equilibrio e’ nei cocktail la cosa piu’ importante di tutte.
Qui in basso alcune delle storie legate alla nascita del Daiquiri.
Un cocktail così famoso che se lo litigano tutti: il Daiquiri non ha un’origine sola, bensì tre. A differenza della storia incredibile ma certa del Moscow Mule, per questa specialità dall’animo caraibico le storie della “fondazione” si moltiplicano. Ma una cosa è certa: il premio Nobel per la letteratura Ernest Hemingway non poteva farne a meno e trovò un’ingegnosa (e alcolemica) soluzione per continuare a berlo anche quando scoprì di avere il diabete.
Daiquiri: un cocktail, tre leggende
Santiago di Cuba, 1898. Nel piccolo villaggio di Daiquiri, oggi conosciuto come Playa Daiquiri, naufraga un giovane marine americano, scampato all’affondamento della sua nave Maine nel porto de L’Avana. È l’evento che scatenerà la guerra tra Spagna e Stati Uniti, ma lui che ne sa: è esausto, ha sete e si fionda nel primo bar che trova. Peccato che la mescita abbia da offrire solo del rum, ottimo, ma non proprio la bevanda più indicata per placare la sete. Così il marinaio se lo fa allungare con del succo di lime e ci aggiunge dello zucchero: ecco che nasce il primo Daiquiri.
O forse no, perché esiste una seconda storia altrettanto convincente: sempre 1898, sempre la spiaggia di Daiquiri. Stavolta a sbarcare sono le truppe americane per iniziare la guerra contro l’esercito coloniale spagnolo e liberare Cuba. Alla testa degli statunitensi c’è il generale Shafter, che si rivelerà un condottiero abbastanza imbranato. Forse perché troppo preso a degustare la bevanda diffusa tra i guerriglieri cubani alleati, la Cancháchara: 2/3 di rum, 1/3 di limone e un po’ di zucchero, “coraggio liquido” per le battaglie e ottimo antidolorifico per le ferite. “A questa bevanda manca solo una cosa: il ghiaccio” esclama: la consacrazione del Daiquiri, naturalmente l’apporto più significativo del pigro generale all’intera campagna militare.
Ma non c’è due senza tre e così la nascita del cocktail slitta in avanti di qualche anno, ai primi del Novecento quando un ingegnere minerario di origini italiane, Giacomo Pagliuchi, visita la miniera di ferro del collega americano Jennings S. Cox. A fine giornata è ora del drink e l’ospite in casa ha solo rum, zucchero e lime. Shakerati con del ghiaccio ne esce quello che Jennings definisce un rum sour, ma Giacomo non è d’accordo: “Questo nome non è degno di un cocktail così fine e delizioso come il nostro. Lo chiameremo Daiquiri”.Ernest Hemingway e “El Floridita”
Passiamo decisamente al rango di storia se parliamo dell’invenzione ufficiale del Daiquiri, collocata a L’Avana nel bar El Floridita: un locale esistente in calle Obispo fin dal 1817, conosciuto prima con il nome di La Piña de Plata, poi come La Florida e infine trasformato nel suo diminutivo dagli affettuosi avventori. Qui nel 1914 arriva il bartender catalano Constantino Ribalaigua Vert, che ben presto diventa una leggenda grazie al suo Daiquiri, il primo fatto esattamente come lo conosciamo noi oggi. “My mojito at La Bodeguita, my daiquiri at El Floridita”: poche parole che incidono la storia con lettere di fuoco e che consacrano una volta per tutte El Floridita a culla del Daiquiri. A dirle fu Ernest Hemingway, dal 1932 frequentatore abituale del locale. E così chi si ricorda più del bartender spagnolo Emilio Gonzáles del vicino Hotel Plaza, da cui forse Constante “prese spunto”. Ma la storia, si sa, se non la scrivono i vincitori lo fanno quantomeno gli scrittori.
dal sito La cucina italiana
Secondo assaggio: Original Cuba Libre. Anche qui e’ facile trovare posti in cui viene servito questo cocktail, ma quanto provato e’ fuori dal comune, una scienza esatta applicata alla composizione della bevanda, non si tratta semplicisticamente di rum e coca.
Cuba Libre, il simbolo di un’alleanza…
Il 1898 per Cuba è un anno importante. No, non perché si dice che in quei mesi nacque il Daiquiri: perché nel 1898 con la rapida guerra ispano-americana l’isola caraibica ottenne l’indipendenza dalla Spagna. E lo fece appunto grazie all’aiuto degli Stati Uniti, ingolositi dalla possibilità di fare di Cuba un loro protettorato. Quel dettaglio nell’immediato futuro avrebbe causato le prime di una lunga serie di “incomprensioni” tra i due paesi, ma prima dell’irreparabile la loro unione si celebrò con una bevanda e un grido: ¡Por Cuba libre! (per Cuba libera). Rum cubano e Coca Cola americana dunque, brindato con l’urlo di battaglia dei guerriglieri. Poco importa poi se a inventarlo fu un barman cubano, il capitano americano Russell o il soldato semplice John Doe, che lo ordinò all’American Bar di Calle Nettuno de L’Avana.
… o forse no
Come al solito però la Storia, quella vera, rema contro la poesia. Improbabile che nei primi del Novecento la Coca Cola, inventata da John Pemberton nel 1886, fosse già arrivata fuori dai confini americani. Anzi in patria la bevanda, inizialmente usata come medicinale, si diffuse solo intorno al 1920 per raggiungere il successo negli anni Trenta e Quaranta. Chissà quindi se il noto drink abbia mai visto un bicchiere cubano. Più facile che si utilizzò una cola generica, e magari per allungare un Daiquiri, e magari non per celebrare l’amore tra USA e Cuba. Un’altra ipotesi addirittura fa risalire l’origine del nome non al motto dei guerriglieri ma alla testata del giornale rivoluzionario “Cuba Libre” fondato nel 1928 da Julio Antonio Mella.
dal sito La cucina italiana
E dopo questa graditissima sorpresa siamo giunti al classico Mojito, classico si fa per dire, mai bevuto un mojito cosi’, crollati il mito del pestaggio di canna e menta, insomma ragazzi bisogna andare allo Shaker Club e passarci tante serate. Francesco ci ha spiegato perche’ non si pesta la menta, perche’ si usa dell’acqua minerale, perche’ si beve qualcosa di diverso.
L’inventore del Mojito sembra avere un nome e un cognome: Sir Francis Drake, il famigerato corsaro di sua maestà la regina Elisabetta I, uno dei primi uomini a compiere la circumnavigazione del globo.
Il Draque, antenato del mojito
Nel XVI secolo per assalire navi, depredare le coste e trafficare gli schiavi ci voleva fegato, in tutti i sensi: pazienza poi se te lo giocavi dopo pochi anni. Il “coraggio liquido” sulle navi di Francis Drake, cavaliere della corona inglese non proprio esemplare, si chiamava El Draque, come il soprannome latino del famoso pirata: una miscela – che qualcuno dice ideata proprio durante l’assedio de L’Avana nel 1586 – a base di zucchero di canna, succo di lime, foglie di hierbabuena (nome forse un po’ allusivo, ma si tratta solo della menta selvatica cubana), acqua e aguardiente (o tafia), un’acquavite distillata dalla canna da zucchero. Una sorta di rum non invecchiato che in questo antenato “grezzo” del Mojito svolgeva perfettamente il compito di scaldare gli animi dei marinai e anche di non far marcire l’acqua nelle botti, dove era appunto pre-diluito; il lime invece con la sua vitamina C combatteva la malattia che si diffondeva sulle navi, lo scorbuto. Il Mojito come lo conosciamo oggi comparve dalla seconda metà dell’Ottocento con la nascita del vero rum, quando cioè Don Facundo Bacardi y Massó perfezionò le tecniche di distillazione e invecchiamento fondando poi l’omonima distilleria.
Mojito, l’incantesimo che stregò Ernest Hemingway
Quando dici “cocktail” e “Cuba” salta fuori sempre lui, Ernest Hemingway, personaggio sorprendente tanto per le sue doti letterarie quanto per quelle di bevitore, che lo portarono a soffrire di epatite. Lo scrittore era innamorato dell’isola caraibica, dove vi soggiornò a più riprese tra i primi anni Trenta del Novecento e gli anni Cinquanta, quando si trattenne a L’Avana per un paio di anni per la stesura de Il vecchio e il mare, con il quale nel 1953 vinse il premio Pulitzer e il premio Nobel nel 1954.
A questo innamoramento contribuì di certo anche Angel Martinez, dal 1942 bartender de La Bodeguita del Medio dove Hemingway era solito consumare il suo Mojito “speciale”, con rum bianco e rum scuromiscelati insieme. “My mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita” lasciò scritto all’interno del locale, una frase leggendaria che fece la fortuna dei due cocktail cubani. E chissà se il nome mojito (che potrebbe derivare dal termine voodoo “mojo”, “incantesimo”) non nacque proprio osservando lo scrittore stregato da quel nettare.dal sito La cucina italiana
Il Mojito e’ stato una vera sorpresa, e tutti ne abbiamo bevuti tantissimi, beata ignoranza.
E per finire siamo ritornati sul Daiquiri, questa volta in versione frozen, e questo davvero mi ha ricordato quello del Floridita. Prima pero’ una pausa con un tacos pollo e fagioli che ha riempito gli stomaci di questa squadra di fumatori, che degustavano un Partagas D5 in accompagnamento a quanto bevuto. Anche in questo caso un binomio che ha ben funzionato, con il lime che comunque riusciva a ripulire la bocca e rendere i puff gradevoli e mai aggressivi.
Che dire, fare un corso da barman? sarebbe una bella idea, ci vuole il tempo libero. Complimenti ancora a Francesco e Salvatore, davvero impeccabili.
Massimiliano